Il ricordo di Lucia Lumbelli, morta il 4 marzo a Trieste, mi riporta ai tempi quando (primi anni ’70, ricchi di fermenti post-sessantotto) ero studente di Psicologia a Padova, dove lei era docente di Pedagogia, ma con forti interessi psicologici, che ha sempre mantenuto nella sua carriera. A riprova di questi interessi, aveva tradotto “Fondamenti della psicologia della Gestalt” di Metzger curato da Gaetano Kanizsa. Il programma del suo corso per gli psicologi a Padova comprendeva testi come quello sulla “comunicazione non autoritaria” rogersiana, che mi interessarono a tal punto da indurmi a cambiare la cattedra cui per cognome ero stato assegnato, in modo da poter seguire le sue lezioni. E fu uno dei corsi e degli esami più belli della mia carriera di studente, per la sua capacità di cogliere l’essenziale delle cose che ascoltava (e che diceva) e di ‘comprendere’ l’interlocutore in un’ottica genuinamente rogersiana di ascolto aperto e in-condizionato.
I suoi libri più interessanti anche per gli psicologi parlano proprio di ascolto e comprensione (“Capire le storie”, “Quando insegnare è capire e far capire”) ma anche di scrittura (“Fenomenologia dello scrivere chiaro”), e di “comunicazione filmica”, fino a “La comprensione come problema. Il punto di vista cognitivo” con splendida presentazione di Tullio De Mauro.
Seppi poi che si era trasferita a Trieste, dove aveva insegnato fino al pensionamento e al riconoscimento del titolo di emerito.
Lucia Lumbelli riassume in sintesi la estrema vicinanza della ‘sua’ pedagogia alla ‘nostra’ psicologia, applicata ai contesti di apprendimento, e non solo. Una proficua sinergia che andrebbe riscoperta in ottica interdisciplinare, anzi meglio multidisciplinare, l’unica possibile per affrontare in modo scientifico le tante sfide che la formazione, oggi come tanti anni fa, pone a chi si occupa della mente umana e della sua educazione.
S.D.
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